La signora grassa canta
Non c’è molto di piacevole – sono la prima ad ammetterlo – nell’essere grassi: Le articolazioni fanno male e i polmoni ansimano nella semplice anticipazione di una scala; qualsiasi temperatura sopra lo zero richiede nudità estrema e acqua ghiacciata per via endovenosa; i preparativi per lo shopping di vestiti includono uno speaker motivazionale e narcotici su prescrizione; e l’atto di raccogliere, diciamo, una monetina caduta è qualcosa da compiere solo con le dita dei piedi, per evitare che piegare il prominente midriff sia causa di rovesciamento, commozione cerebrale e morte.
Inoltre, una persona grassa è un paria, soggetta al tipo di vetriolo un tempo riservato alle streghe del XVII secolo. Mia sorella, che è una ragazza supersize come me, in due di questi Stati Uniti si è vista scagliare addosso del cibo dalle auto di passaggio (con relativi insulti legati alla taglia) mentre era fuori per delle salutari passeggiate; sia a lei che a me, ferme al semaforo, gli automobilisti accanto a noi hanno gridato: “Scendi e cammina, culona! (e poi cosa, ci tirano i cheeseburger?); e i cassieri della drogheria hanno ripetutamente – non vi prendo in giro – sostenuto i nostri acquisti e speculato: “Immagino che non abbiate notato la versione ipocalorica”, o qualcosa di simile. Questi non sono incidenti infrequenti; una sorta di confronto, sottile o palese, si verifica ogni volta che esco di casa, a meno che non sia accompagnato da una persona magra (la cui presenza sembra scoraggiare la sconvenienza, presumo, perché ai piccoli non piace che gli altri piccoli li vedano comportarsi male).
Quindi, no, non c’è molto di positivo nell’essere grassi.
Qualcuno può spiegare, allora, perché la popolazione generale crede che se abbastanza persone avvertono la signora grassa (oh così simpaticamente) del lato negativo della sua pesantezza, lei tornerà in sé, vedrà l’errore dei suoi modi, e si affretterà a telefonare a Jenny Craig? In quante occasioni devo, seduto nel salotto di un amico – credendomi protetto, per una volta, dall’aggressione – avere quell’amico che si china verso di me, posa una mano stretta sul mio braccio e mormora: “Spero che questo non ferisca i tuoi sentimenti, ma ti voglio bene e sono preoccupato per il tuo peso”.
Immaginate, se volete, cosa prova una donna grassa in questo momento. Il fatto che si trovi in questo salotto, che chiami questa persona amica, significa che questa persona ha superato dei test specifici, ha indicato nel tempo che è poco incline a criticare ed è più benevola del mondo in generale; perché la signora grassa, come tutti i fenomeni da baraccone, ha molto da temere tra la gente normale, ed è prudente nel rilassarsi tra loro. Immaginate come, dopo essersi rilassata, si senta a scoprire che si è sbagliata, che per tutto il tempo ha interpretato male i segni, che il suo corpo è stato, in effetti, giudicato. Come la donna con un amante infedele, deve rivedere ogni visita passata, ogni momento spericolato e liberatorio, chiedendosi quale di essi fosse vero e quale falso.
Lasciatemi essere perfettamente chiaro: l’ammonizione di sostegno dell’amico può essere intesa in modo meno caustico, ma non sembra meno caustica del già citato incidente “Esci e cammina, culone”. È vero, l’amico, come il medico di famiglia, non sta parlando della mia bruttezza, ma piuttosto di quanto sia probabile che io muoia giovane. Anche così: come è preferibile essere evitato che esortato; perché al sentire “Ciccione! Posso fuggire dalla scena e prevedere di non incontrare mai più il disturbatore da questo lato dell’Ade, mentre il gentile consiglio di un amico è l’inizio, non la fine, delle torture – mille opportunità future di fingere di ignorare la sincera e affettuosa disapprovazione del mio benefattore, stringendo i miei addominali e rimboccando il mento, immaginandomi minuta e appetibile e altrove.
“È probabile che in 38 anni di vita non abbia mai notato una volta la mia corpulenza?”