Come hanno fatto le piante a sviluppare la fotosintesi?

Lug 26, 2021
admin

Quando l’ultima missione Apollo era in viaggio verso la Luna quattro decenni fa, uno degli astronauti scattò una foto che è tra le più famose della storia della NASA. È conosciuta come la fotografia della “biglia blu” perché mostra la Terra, da circa 28.000 miglia di distanza, come una sfera luminosa, vorticosa e prevalentemente blu. Il colore dominante non era sorprendente: è il colore degli oceani, che coprono quasi tre quarti del pianeta.

Ma la Terra non è certo l’unica ad avere acqua. Si trova ovunque nell’universo; anche il polveroso vicino Marte, è ormai evidente, una volta era inondato.

Quello che distingue la Terra non è colorato di blu ma di verde, un verde che si apprezza meglio non dallo spazio, ma da vicino: in un prato di periferia appena tagliato, nelle ninfee di uno stagno di rane, in un gruppo di abeti sul fianco di una montagna. È il verde della clorofilla e della fotosintesi.

La fotosintesi è l’approccio della natura all’energia solare, il suo modo di utilizzare tutta l’energia luminosa che viene dal sole. Le moderne celle solari lo fanno con semiconduttori, e il raccolto consiste in elettroni, che scorrono dopo essere stati eccitati da fotoni di luce. In natura gli elettroni sono eccitati nel pigmento clorofilla, ma questo è solo un primo passo. L’energia viene infine immagazzinata nei legami chimici degli zuccheri che, insieme all’ossigeno, sono i prodotti della fotosintesi.

Questi prodotti hanno trasformato la Terra, l’ossigeno addolcendo l’atmosfera e gli zuccheri fornendo cibo. Insieme, hanno permesso una lunga e lenta fioritura della vita che alla fine ha incluso molti organismi – tra cui gli esseri umani – che non possono fotosintetizzare.

Le piante hanno usato la luce in questo modo primitivo per gran parte dell’esistenza della Terra. Ma come hanno acquisito la capacità di fotosintetizzare?

La risposta breve è che l’hanno rubata, circa un miliardo e mezzo di anni fa, quando organismi unicellulari chiamati protisti hanno inglobato batteri fotosintetizzanti. Nel tempo, attraverso il trasferimento di geni aiutato da un parassita, i batteri assorbiti sono diventati una parte funzionale del protista, permettendogli di trasformare la luce del sole in nutrimento. “L’hanno fatto tutti e tre”, dice il biologo evolutivo della Rutgers University Debashish Bhattacharya. “L’albero della vita comporta un sacco di invenzioni e furti”. Una versione di questa piccola macchina guidata dalla luce del sole e contenente clorofilla esiste ancora oggi nelle cellule delle piante. Si chiama cloroplasto.

Gli scienziati stanno ancora imparando il complesso processo, chiamato endosimbiosi, con cui una cellula, come un protista, per qualche motivo assorbe altri esseri viventi per creare qualcosa di completamente nuovo in biologia.

Le analisi genetiche delle alghe condotte da Bhattacharya suggeriscono che l’evento endosimbiotico cruciale che ha dotato le piante del motore della fotosintesi è avvenuto solo una volta nella storia iniziale del nostro pianeta, in un antenato comune – un singolo protista microscopico che ha reso il verde il colore più importante sulla Terra: La spiegazione più semplice è di solito la migliore. L’idea che l’endosimbiosi sia avvenuta una sola volta – prima che i protisti divergessero e si evolvessero in specie diverse – è molto più sensata dell’alternativa: che l’endosimbiosi si ripresenti con ogni nuova specie emergente.

Acquisire il meccanismo della fotosintesi ha dato a questi primi organismi un enorme vantaggio evolutivo, che hanno prontamente sfruttato. Nel corso dei milioni di anni che seguirono, questa capacità di utilizzare l’energia del Sole contribuì a dare origine alla grande diversità degli esseri viventi sul pianeta. Allora, come oggi, la luce era uguale alla vita.

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