Tragicommedia
Precedente classicoModifica
Non esiste una definizione formale concisa di tragicommedia dell’età classica. Sembra che il filosofo greco Aristotele avesse in mente qualcosa di simile al significato rinascimentale del termine (cioè un’azione seria con un lieto fine) quando, nella Poetica, parla della tragedia con un doppio finale. In questo senso, un certo numero di drammi greci e romani, per esempio Alcestis, possono essere chiamati tragicommedie, anche se senza alcun attributo definito al di fuori della trama. La parola stessa ha origine con il commediografo romano Plauto, che coniò il termine in modo piuttosto faceto nel prologo della sua opera Amphitryon. Il personaggio Mercurio, intuendo l’indecoro dell’inclusione di re e dei accanto ai servi in una commedia, dichiara che la commedia doveva essere una “tragicommedia”:
La farò diventare un miscuglio: che sia una tragicommedia. Non credo che sarebbe appropriato farla coerentemente una commedia, quando ci sono re e dei in essa. Cosa ne pensi? Dato che anche uno schiavo ha una parte nella commedia, la farò diventare una tragicommedia…-Plauto, Anfitrione
RinascimentiEdit
ItaliaEdit
Il commento di Plauto ebbe un impatto probabilmente eccessivo sulla teoria estetica rinascimentale, che aveva ampiamente trasformato i commenti di Aristotele sul dramma in una teoria rigida. Per i “mongoli delle regole” (il termine è di Giordano Bruno), opere “miste” come quelle menzionate sopra, “romanzi” più recenti come l’Orlando Furioso, e persino l’Odissea erano nel migliore dei casi dei rompicapi; nel peggiore, degli errori. Due figure hanno contribuito a elevare la tragicommedia allo status di un genere regolare, intendendo con ciò un genere con un proprio insieme di regole rigide. Giovanni Battista Giraldi Cinthio, a metà del XVI secolo, sostenne che la tragedia con finale comico (tragedia de lieto fin) era la più appropriata per i tempi moderni e produsse i propri esempi di tali opere. Ancora più importante fu Giovanni Battista Guarini. Il Pastor Fido di Guarini, pubblicato nel 1590, ha provocato un feroce dibattito critico in cui la difesa animata di Guarini di innovazione generica alla fine ha portato il giorno. Guarini tragicommedia offerto modulato azione che non ha mai deriva troppo lontano sia alla commedia o tragedia, personaggi di maniera, e un ambiente pastorale. Tutti e tre divennero punti fermi della tragicommedia continentale per un secolo e più.
InghilterraModifica
In Inghilterra, dove la pratica precedeva la teoria, la situazione era molto diversa. Nel XVI secolo, “tragicommedia” significava il tipo nativo di commedia romantica che violava le unità di tempo, luogo e azione, che mescolava con disinvoltura personaggi di alto e basso ceto, e che presentava azioni fantastiche. Queste erano le caratteristiche che Philip Sidney deplorava nella sua denuncia contro la “mungrell Tragy-comedie” degli anni 1580, e di cui il Polonio di Shakespeare offre una famosa testimonianza: “I migliori attori del mondo, sia per la tragedia, commedia, storia, pastorale, pastorale-comica, storico-pastorale, tragica-storica, tragica-comica-storica-pastorale, scena individuabile, o poema illimitato: Seneca non può essere troppo pesante, né Plauto troppo leggero. Per la legge della scrittura e la libertà, questi sono gli unici uomini”. Alcuni aspetti di questo impulso romantico rimangono anche nel lavoro di drammaturghi più sofisticati: Le ultime opere di Shakespeare, che possono essere definite tragicommedie, sono state spesso chiamate romanze.
Dal primo periodo degli Stuart, alcuni drammaturghi inglesi avevano assorbito le lezioni della controversia del Guarini. The Faithful Shepherdess di John Fletcher, un adattamento della commedia di Guarini, fu prodotto nel 1608. Nell’edizione stampata, Fletcher offrì un’interessante definizione del termine, che vale la pena citare a lungo: “Una tragi-commedia non si chiama così per quanto riguarda il divertimento e le uccisioni, ma per quanto riguarda il fatto che vuole morti, il che è sufficiente a non renderla una tragedia, ma ne porta alcune al di fuori, il che è sufficiente a non renderla una commedia”. La definizione di Fletcher si concentra principalmente sugli eventi: il genere di una commedia è determinato dal fatto che vi muoiano o meno delle persone, e in modo secondario da quanto l’azione si avvicini a una morte. Ma, come ha mostrato Eugene Waith, la tragicommedia che Fletcher sviluppò nel decennio successivo aveva anche caratteristiche stilistiche unificanti: rivelazioni improvvise e inaspettate, trame outré, luoghi distanti, e una persistente attenzione alla retorica elaborata e artificiale.
Alcuni dei contemporanei di Fletcher, in particolare Philip Massinger e James Shirley, scrivevano tragicommedie popolari. Anche Richard Brome si cimentò in questa forma, ma con meno successo. E molti dei loro scrittori contemporanei, da John Ford a Lodowick Carlell a Sir Aston Cockayne, fecero tentativi nel genere.
La tragicommedia rimase abbastanza popolare fino alla chiusura dei teatri nel 1642, e le opere di Fletcher furono popolari anche durante la Restaurazione. I vecchi stili furono messi da parte quando i gusti cambiarono nel diciottesimo secolo; la “tragedia a lieto fine” alla fine si sviluppò nel melodramma, in cui forma fiorisce ancora.
Landgartha (1640) di Henry Burnell, la prima opera di un drammaturgo irlandese ad essere rappresentata in un teatro irlandese, fu esplicitamente descritta dal suo autore come una tragicommedia. La reazione della critica alla commedia fu universalmente ostile, in parte sembra perché il finale non era né felice né infelice. Burnell nella sua introduzione all’edizione stampata della commedia attaccò i suoi critici per la loro ignoranza, sottolineando che, come dovrebbero sapere perfettamente, molte commedie non sono né tragedia né commedia, ma “qualcosa nel mezzo”.
Sviluppi successiviModifica
La critica che si sviluppò dopo il Rinascimento sottolineò gli aspetti tematici e formali della tragicommedia, piuttosto che la trama. Gotthold Ephraim Lessing la definì come una miscela di emozioni in cui “la serietà stimola il riso e il dolore il piacere”. L’affinità della tragicommedia con la satira e la commedia “dark” hanno suggerito un impulso tragicomico nel teatro moderno con Luigi Pirandello che ha influenzato molti drammaturghi tra cui Samuel Beckett e Tom Stoppard. Inoltre può essere visto nel dramma assurdista. Friedrich Dürrenmatt, il drammaturgo svizzero, suggerì che la tragicommedia era il genere inevitabile per il XX secolo; egli descrive la sua opera La visita (1956) come una tragicommedia. La tragicommedia è un genere comune nel teatro britannico del secondo dopoguerra, con autori diversi come Samuel Beckett, Tom Stoppard, John Arden, Alan Ayckbourn e Harold Pinter che scrivono in questo genere. La narrativa postmoderna Pale Fire di Vladimir Nabokov è una tragicommedia che si preoccupa del dramma elisabettiano
La tragicommedia postmoderna negli Stati UnitiEdit
Gli scrittori americani dei movimenti metamodernisti e postmodernisti hanno fatto uso della tragicommedia e/o dell’umorismo forcaiolo. Un notevole esempio di tragicommedia metamodernista è l’opera magna di David Foster Wallace del 1996, Infinite Jest. Wallace scrive degli elementi comici del vivere in una casa di mezzo (cioè “alcune persone sembrano davvero dei roditori), un luogo intriso di tragedia umana e sofferenza.