Storia musicale dell’Italia
L’Italia fu il luogo di diversi sviluppi musicali chiave nello sviluppo delle liturgie cristiane in Occidente. Intorno al 230, ben prima che il cristianesimo fosse legalizzato, la tradizione apostolica di Ippolito attesta il canto di salmi con ritornelli di alleluia a Roma. Nel 386, imitando i modelli orientali, Sant’Ambrogio scrisse degli inni, alcuni dei cui testi sopravvivono ancora, e introdusse la salmodia antifonale in Occidente. Intorno al 425, Papa Celestino I contribuì allo sviluppo del Rito Romano introducendo il canto responsoriale di un Graduale, e Cassiano, Vescovo di Brescia, contribuì allo sviluppo dell’Ufficio monastico adattando la salmodia monastica egiziana all’uso occidentale. Più tardi, intorno al 530, San Benedetto avrebbe organizzato l’ordine settimanale della salmodia monastica nella sua Regola. Più tardi, nel VI secolo, Venantius Fortunatus creò alcuni degli inni più duraturi della cristianità, tra cui “Vexilla regis prodeunt”, che sarebbe poi diventato l’inno più popolare delle crociate.
La più antica musica esistente in Occidente è il plainsong, un tipo di canto cristiano primitivo monofonico e non accompagnato eseguito dai monaci cattolici romani, che fu ampiamente sviluppato all’incirca tra il VII e il XII secolo. Anche se il canto gregoriano ha le sue radici nel canto romano ed è popolarmente associato a Roma, non è indigeno dell’Italia, e non è stato il primo né l’unico canto popolare occidentale. Irlanda, Spagna e Francia svilupparono ciascuna una tradizione locale di canto semplice, ma solo in Italia diverse tradizioni di canto prosperarono simultaneamente: Il canto ambrosiano a Milano, il canto romano antico a Roma, e il canto beneventano a Benevento e Montecassino. Il canto gregoriano, che soppiantò le tradizioni indigene del Vecchio Romano e del Beneventano, derivò da una sintesi del canto romano e gallicano nella Francia carolingia. Il canto gregoriano venne in seguito ad essere fortemente identificato con Roma, specialmente quando elementi musicali dal nord furono aggiunti al rito romano, come il Credo nel 1014. Questo era parte di una tendenza generale in cui la tradizione manoscritta in Italia si indebolì e Roma iniziò a seguire le tradizioni nordiche di canto semplice. Il canto gregoriano soppiantò tutte le altre tradizioni di canto occidentale, italiane e non, ad eccezione del canto ambrosiano, che sopravvive ancora oggi. Le tradizioni di canto italiano autoctono sono notevoli per l’uso sistematico di un movimento melodico ornato e graduale all’interno di una gamma generalmente più stretta, dando alle tradizioni di canto italiano una sensazione più liscia e ondulata rispetto al gregoriano. Cruciali nella trasmissione del canto furono le innovazioni di Guido d’Arezzo, il cui Micrologus, scritto intorno al 1020, descrive il pentagramma musicale, la solmizzazione e la mano guidoniana. Questa prima forma di do-re-mi creò una rivoluzione tecnica nella velocità con cui i canti potevano essere imparati, memorizzati e registrati. Gran parte della tradizione musicale classica europea, compresa l’opera e la musica sinfonica e da camera, può essere fatta risalire a questi sviluppi medievali italiani nella notazione musicale, nell’educazione musicale formale e nelle tecniche di costruzione degli strumenti musicali.
Anche se le tradizioni canore del nord stavano soppiantando il canto indigeno italiano, i musicisti spostati dal nord contribuirono ad una nuova fiorente cultura musicale nell’Italia del XII secolo. La crociata albigese, presumibilmente per attaccare gli eretici catari, portò la Francia meridionale sotto il controllo della Francia settentrionale e schiacciò la cultura e la lingua occitana. La maggior parte dei trovatori fuggì, specialmente in Spagna e in Italia. L’Italia sviluppò le proprie controparti dei trovatori, chiamate trovatori, incluso Sordello di Mantova. Federico II, l’ultimo grande imperatore del Sacro Romano Impero Hohenstaufen e re di Sicilia, incoraggiò la musica alla corte siciliana, che divenne un rifugio per questi trovatori sfollati, dove contribuirono ad un melting pot di stili musicali cristiani, ebrei e musulmani. La musica profana italiana era in gran parte la provincia di questi jongleur, trovatori e mimi. Una conseguenza importante dell’influenza dei trovatori durante questo periodo, in Italia e in tutta Europa, fu il graduale passaggio dalla scrittura strettamente in latino alla lingua locale, come sostenuto da Dante nel suo trattato De vulgari eloquentia; questo sviluppo si estese ai testi delle canzoni popolari e a forme come il madrigale, che significa “nella lingua madre”. Sempre in questo periodo, i flagellanti italiani svilupparono gli inni popolari italiani conosciuti come laude spirituali.
Tra il 1317 e il 1319, Marchetto di Padova scrisse il Lucidarium in artae musicae planae e il Pomerium artis musicae mensuratae, importanti trattati di canto e polifonia, esponendo una teoria di notazione ritmica che aprì la strada alla musica del Trecento (ars nova italiana). Intorno al 1335, il Codice Rossi, la prima collezione esistente di polifonia profana italiana, includeva esempi di generi indigeni italiani del Trecento, inclusi i primi madrigali, le cacce e le ballate. Il primo madrigale era più semplice dei più noti madrigali successivi, di solito consisteva in terzine disposte polifonicamente a due voci, con un ritornello chiamato ritornello. La caccia era spesso in armonia a tre parti, con le due linee superiori impostate su parole in canone musicale. La prima ballata era spesso un poema in forma di virelai impostato su una melodia monofonica. Il Codice Rossi includeva musica di Jacopo da Bologna, il primo famoso compositore del Trecento.
Il Codice Ivrea, datato intorno al 1360, e il Codice Squarcialupi, datato intorno al 1410, erano importanti fonti di musica del tardo Trecento, inclusa la musica di Francesco Landini, il famoso compositore cieco. Il nome di Landini era legato alla sua caratteristica “cadenza Landini” in cui la nota finale della melodia si abbassa di due note prima di tornare, come C-B-A-C. La musica del Trecento influenzò i musicisti del nord come Johannes Ciconia, la cui sintesi degli stili francese e italiano preannunciò la musica “internazionale” tipica del Rinascimento.
Durante il XV secolo, l’Italia entrò in un periodo lento nella composizione nativa, con l’eccezione di alcune luci brillanti come l’interprete e antologo Leonardo Giustinian. Man mano che le potenti famiglie del nord, come i d’Este e i Medici, costruirono potenti dinastie politiche, portarono nelle loro corti compositori nordici di scuola franco-fiamminga come Josquin e Compère. A partire dagli ultimi decenni del secolo, compositori italiani come Marchetto Cara e Bartolomeo Tromboncino scrissero canzoni leggere e di corte chiamate frottole per la corte mantovana di Isabella d’Este. Con il supporto dei Medici, la stagione del martedì grasso fiorentino portò alla creazione di argute e terrose canzoni di carnevale chiamate canti carnascialeschi.